LA CANAPA
Il Ciclo della Canapa (cannàbis sativa) rappresenta il settore più completo e ricco di oggetti, di manufatti, di cartelloni esplicativi sulla coltivazione e lavorazione di questa fibra, indispensabile fino ad alcuni anni fa per la produzione di biancheria e di corde e funi per svariati usi.
La pianta della canapa (Cannàbis Sativa. Chiamata così dal naturalista Linneo, nel 1753).
La canapa, sempre nota come fibra di grande versatilità e robustezza, nella Val Vibrata s'inseriva nel contesto di una economia agraria, soprattutto per l'autoconsumo e cioè per dotarsi di biancheria da camera (lenzuola, materassi, coperte, asciugamani, camicie da notte), da tavola, canovacci per cucina, sacchi, ma soprattutto per dotare la sposa del corredo nuziale, la dote, a cui si dava il massimo rilievo a cominciare dal trasporto della biancheria dalla casa della sposa a quella dello sposo con carri trainati da buoi bardati a festa.
Lu vuòreghe, lu bberecò, gorgo, maceratoio. Nella foto, esemplare di maceratoio in muratura.
Oggi la canapa viene riproposta sia per l'abbigliamento per la sua caratteristica di essere un tessuto fresco d'estate e confortevole d'inverno, che ben s'inserisce nell'ambito della moda ecologica, sia nell'industria cartaria dove vanta pure una sua tradizione secolare.
I pettini in metallo servivano per sfibrare e raffinare la canapa. |
Filatoio: macchina pe filare. |
Incannatoio e arcolaio per avvolgere il filo su cannelli per l'ordito. |
Le operazioni registrate nel museo sono:
semina e raccolta delle piante;
essiccamento e macerazione degli steli nei vuoreghe (maceratoi);
maciullatura per separare la fibra dalla parte legnosa;
la fibra veniva poi raffinata con la scotola e i frammenti rimasti (la reschje) venivano asportati con la spadella, strumento di legno duro, a forma di spada;
la pettinatura, con pettini dai denti di acciaio, di varie dimensioni, veniva fatta dal canapino (unica persona esterna al nucleo familiare nella lavorazione della canapa).
La maciangulatura (maciullatura), la prima lavorazione della canapa, per estrarre la fibra dalla parte legnosa degli steli.
Da questi lavori, svolti con cura e maestria, dipendeva la qualità finale della fibra.
Le fasi successive, appannaggio della donna e della sua pazienza, sono:
filatura, fatta con fuso e conocchia e successivamente con una macchinetta a pedale;
annaspatura, per preparare le fezze (matasse);
ngannellatura: con l'arcolaio e l'incannatoio si passava dalle matasse ai cannelli, necessari per preparare l'ordito;
orditura: operazione complessa e compito delle donne più esperte per l'assemblaggio dei fili necessari per la tela che si voleva fare;
allestimento del telaio: l'ordito veniva avvolto al subbio e filo per filo veniva fatto passare attraverso i licci che, a seconda del numero, programmavano il disegno della tela;
tessitura: è l'operazione finale più lunga e monotona che impegnava le donne per tutta la stagione invernale;
sbiancatura: il tessuto grezzo veniva bagnato per più giorni nelle acque del Vibrata e stesa al sole fino ad ottenere un bianco perfetto.
Dopo la filatura e la confezione delle fèzze, matassa, per mezzo dell'aspo, l'informatrice Teresa Pantalone di Controguerra, prepara i cannelli per l'orditura, con l'arcolaio (lu vìnnelle) e l'incannatoio. Quest'ultimo attrezzo è conosciuto in Val Vibrata col termine lu fiarèlle, lu flarèlle, filarello.
Sul fiume Vibrata. Una fase della sbiancatura: la tela viene ripetutamente bagnata e poi stesa al sole, per vari giorni (cura, curì).
La Sig.ra Italia Mafalda Nepa di Controguerra riesce a ridurre la canapa in sottilissimo filo, usando una macchinetta a pedivella, costruita in casa. |
Telaio pronto per la tessitura.
Rotoli di legno scanalati per intrecciare corde e funi.